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Disparità di trattamento tra fratelli, il ruolo della mamma

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Negli USA se ne fa un gran parlare, tanto che è stato coniato l’acronimo PDT (Parental Differential Treatment) riferito al “trattamento differenziale del genitore” rispetto alla prole.

Qui in Italia l’argomento sembra essere del tutto trascurabile: non ho trovato alcun riferimento, neanche nel blog più remoto!

Setacciando tra ricerche autorevoli, blog, libri, tesi e articoli accademici, qui in Italia non c’è nulla se non qualche riferimento giuridico / legale (disparità in termini di eredità economica). Eppure la disparità di trattamento tra fratelli, da un punto di vista psicologico, è un tema molto sentito… anzi, gli unici che forse non sentono l’esigenza di parlarne saranno sicuramente figli unici!

Parental Differential Treatment (PDT) o Trattamento parentale differenziale

La mitologia ci narra che un genitore, in particolare una madre, non abbia alcuna preferenza e di conseguenza non vada a esercitare disparità di trattamento tra i figli. Sì, in questo contesto la leggendaria figura mitologica della madre è imparziale… ma gli studi* confutano tutto ciò: a livello statistico c’è sempre un figlio che (forse, seppur non preferito) richiede più attenzioni e viene percepito dal “fratello messo da parte” come “il prescelto”.

La gravidanza è un processo spontaneo perché guidato biologicamente, purtroppo la maternità intesa come educazione emotiva da impartire ai propri figli non ha alcuna bussola, non ha guide biologiche e così si affida quasi completamente alla ragione e all’emotività umana, quella di una madre che spesso si trova alle prese con più figli e con grossi carichi emotivi da gestire. Il tutto contornato da problemi concreti come l’economia domestica, il rapporto con il partner e tutto ciò che di bello o brutto offre la vita.

Il comportamento del genitore nei riguardi dei figli è legato:

  • all sviluppo emotivo del genitore e al suo temperamento (personalità)
  • al carico emotivo del genitore (conflitti irrisolti, proiezioni, stati mentali…)
  • ai comportamenti appresi, quindi all’educazione ricevuta dal genitore
  • al temperamento degli stessi figli
  • alle dinamiche familiari (stabilità del matrimonio, rapporto con il partner, economia domestica…)
  • bisogni oggettivi o bisogni percepiti dei figli (esigenze reali o fittizie, che la madre proietta sul bambino)

Un bambino può richiedere maggiori attenzioni a causa di un “bisogno speciale” reale o percepito dal genitore.

Questi fattori così complessi vanno a determinare i legami tra genitore e figlio, legami che a loro volta scandiscono disparità di trattamento.

Per una mamma, il temperamento di un bambino può fare la differenza rispetto a quello del fratello? Le esigenze reali e percepite, possono innescare favoritismi? Sì e su questo non ci sono dubbi. 

Immagina un bambino molto espressivo, turbolento, capriccioso. Ora immagina che questo bambino abbia un fratello che sia, al contrario, pacato, introverso, passivo. Un grande classico!

A quale dei due la mamma si sentirà più vicino? A quale dei due bambini la mamma deciderà di dedicare più attenzioni? Quale bambino la frustrerà di meno? La mamma, in quale dei due bambini riuscirà a immedesimarsi?

Già, perché le mamme che hanno avuto un’infanzia difficile, potrebbero cercare di ricreare una sorta di copione dove, questa volta, la figlia o il figlio dovrà poi riscattarsi in qualche modo…. finendo così per immedesimarsi nel figlio in modo disfunzionale. Ma questa è un’altra storia, anche se a conti fatti va a determinare forti disparità di trattamento, soprattutto in caso di figli di sesso opposto…!

In ogni modo, le ricerche mostrano che l’impatto della percezione del bambino sulla disparità di trattamento subita è maggiore rispetto all’impatto dell’amore e dell’attenzione che lo stesso bambino riceve direttamente dal genitore.

Ma questo non dovrebbe sorprendere nessuno: è risaputo che i bambini tendono a vivere le cose in modo amplificato e assolutistico dato che il genitore è l’unico mondo che conosce, il suo punto di partenza.

“Non è giusto: perché a lui sì e a me no?”

Ecco la fatidica domanda che tutti i bambini hanno posto, almeno una volta, al genitore. Quando i favoritismi sono espliciti, al “bambino messo da parte” gli sarà “rubata l’autostima”. Questo bambino inizierà a “coltivare un senso di solitudine” e si graverà di responsabilità inaudite.

Questo appena scritto è vero indipendentemente dal fatto che la percezione del bambino sia concreta o meno. E’ la sua visione della disparità di trattamento a prevalere sul suo sviluppo emotivo. Ora la domanda è lecita: le disparità di trattamento subite da un bambino, che effetti possono avere sulla sua vita da adulto? 

Torniamo all’esempio di prima, dove vi era un fratello irrequieto e capriccioso e un altro introverso e pacato. Il genitore, con molte probabilità, si focalizzerà soprattutto sul figlio dal temperamento più espressivo e di conseguenza il bambino già introverso, finirà per chiudersi completamente e non riuscirà a costruire una sana immagine di sé coltivando una sensazione di “non valere” che, con buone probabilità, lo accompagnerà anche in età adulta.

Le teorie sul PDT hanno evidenziato, in modo convincente, che una disparità di trattamento può innescare una serie di conseguenze tangibili anche in età adulta (Suitor, Sechrist, Plikuhn, Pardo, Gilligan & Pillemer, 2009).

Secondo Boll, Michels, Ferring e Filipp (2010) l’impatto del PDT non sarebbe determinante solo per la personalità del bambino sfavorito ma anche per lo stesso rapporto tra fratelli, avendo ripercussioni anche sul rapporto tra fratelli in età adulta e sulla visione che uno ha dell’altro.

Il bambino sfavorito, negli anni, sarà portato a una minore comunicazione nella famiglia.

Anche se non si può presumere che il trattamento parentale differenziale possa causare sempre problemi di adattamento nei bambini: talvolta il bambino sfavorito può assumere un comportamento reattivo, non solo richiamare l’attenzione su di sé ma anche stravolgere intere dinamiche familiari.

La disparità di trattamento può essere percepita non solo in termini di affetto concesso ma anche di severità, i genitori, infatti, possono essere più severi e pretenziosi con un figlio e più accomodanti e permissivi con un altro. *Durante lo sviluppo emotivo del bambino sfavorito potrebbero subentrare problemi di umore depresso, ansia, bassa autostima ma anche estrema aggressività.

Molto spesso non c’è un figlio preferito, più semplicemente il genitore, inadeguato, non sa come mostrare cure e affetto, così mette in atto un trattamento parentale differenziale dove tutti i figli si sentono gli sfavoriti. In ogni caso, il senso di appartenenza alla famiglia è destinato a svanire repentinamente per tutti i figli che, sentendosi sfavoriti, tendono ulteriormente a isolarsi non avendo gli strumenti per integrarsi o innescare un cambiamento di marcia.

“Trattamento parentale differenziale” in età adulta: quando i genitori sono anziani

Il PTD non si limita all’età infantile, il trattamento parentale differenziale può perpetuarsi fino all’età adulta. In questo scenario, però, si presume che i bambini ormai adulti, abbiamo strutturato competenze funzionali per fronteggiare la disparità di comportamento dei genitori. In altre parole si presume che l’adulto sia indipendente dal genitore. Spesso, però, non è così e, anche se un genitore anziano conserva le medesime aspettative su entrambi i figli, molto spesso è il figlio sfavorito a occuparsi dei genitori ormai anziani e non più autosufficienti. Questo non di certo per un senso di “riconoscenza” bensì per riscattarsi e in qualche modo tentare di guadagnarsi quell’amore mai avuto da bambino. Ma questa è solo un’ipotesi.

Un altro scenario può apparire completamente opposto. Cioè, se il figlio favorito è stato caricato di troppe attenzioni, viziato e sgravato da ogni responsabilità, il figlio preferito potrebbe aver sviluppato un legame di dipendenza affettiva con la figura di attaccamento così da non divenire mai completamente autosufficiente e dipendere dal genitore anche per prendere le più semplici decisioni della vita. Ciò non rende il “figlio messo da parte” immune alla dipendenza affettiva, ma gli scenari cambiano in base al comportamento del genitore e alla reattività/passività del bambino. Un bambino non amato potrebbe diventare sia tendenzialmente anaffettivo sia tendenzialmente dipendente.

Autore: Anna De Simone

Fonte: psicoadvisor.com

*Dunn and Plomin 1990, McGuire 2002
*Feinberg & Hetherington, 2001; McHale et al., 1995; Shanahan
et al., 2008; Singer & Weinstein, 2000

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