Dire sì per un genitore è facile, non porta dissidi né bambini scontenti. È una strada in discesa –almeno nel breve periodo– garante di calma, priva di capricci e sceneggiate. Dire no, invece, comporta fermezza, sforzi, fatiche, coerenza, grida, pianti, contrasti e strattoni.
Quando Marco, 3 anni, trova l’opposizione della madre all’ennesima richiesta della giornata, le grida piangendo: “Brutta! Cattiva, non ti voglio più bene!”.
La madre prosegue lungo la strada di casa tenendolo per mano e, sebbene a fatica, si gira e gli dice: “Dai su, andiamo a casa”.
Alza gli occhi al cielo, ma accetta e tollera la reazione del figlio, conscia del fatto che fa parte della vita. Non prende sul personale la collera del bambino e, nonostante le procuri comprensibili difficoltà, la considera come un’emozione inevitabile e parte integrante del percorso di crescita.
Una vocina interiore le suggerisce che la vita va così e che non sarà certo la prima e ultima volta che il figlio di fronte al “no” risponderà attraverso rabbia e frustrazione; d’altra parte è un bambino che sta scoprendo a malincuore che non si può avere tutto nella vita, ovvero sta prendendo atto, grazie al divieto del genitore, dell’esistenza dei limiti.
La trasmissione del limite, un tempo, avveniva attraverso il cosiddetto padre-padrone, un padre autoritario, la cui “legge” era indiscutibile, e così accadeva anche attraverso le istituzioni, come per esempio la scuola. Un padre, per il solo fatto di essere padre, veniva rispettato e così accadeva per gli insegnanti. Spesso si riusciva ad essere autorevoli senza diventare autoritari.
Oggi quest’epoca è tramontata, lo sfondo culturale non fa altro che incitare al “tutto è possibile” e, non solo il padre, ma anche le istituzioni hanno perso la funzione “normativa e autorevole” di un tempo. E mentre le istituzioni crollano, anche i nuovi genitori non sembrano fare un vero e proprio cavallo di battaglia dei divieti. Anzi, la maggior parte di essi non tollera alcuno stato di sofferenza, rabbia o frustrazione dei figli.
I genitori entrano in uno stato di allarme e cercano di evitare al figlio di vivere qualunque sensazione di frustrazione.
C’è un’ansia di fondo che fa sì che al primo urlo di protesta i bambini vengano ricoperti di attenzioni e assecondati su qualunque richiesta o esigenza. Perché?
“Sono troppo stanca”, dice Maria di fronte alle incessanti richieste del figlio. Ma generalmente la stanchezza non è l’unico motivo per cui si desiste.
“Mi sento in colpa”, afferma invece Lucia, madre di due figli. “Non trascorro mai abbastanza tempo con loro a causa del lavoro e nel poco spazio che abbiamo insieme mi rendo conto che gliele do tutte vinte, illudendomi che in questo modo saranno più felici”.
“Quando mi dice: Brutta! Sei cattiva, vai via! Non ti voglio più bene!”, riferisce Carolina, un’altra mamma di due bambine, “mi sento proprio male”.
Carolina percepisce quella frase come diretta a sé e non come espressione di uno stato di rabbia e frustrazione; si sente sbagliata e una cattiva madre. Teme che dicendo di no al figlio egli opponga un certo disappunto e che questo comprometta la relazione, in poche parole ha paura di perdere il suo amore o di non amarlo abbastanza.
Ecco allora che emerge la grande confusione: “Dico sì, in modo che tu, figlio mio, continui ad amarmi”, oppure: “Dico sì, in modo che tu, figlio mio, ti senta amato”.
In questo modo però il genitore perde di vista il ruolo educativo inscritto proprio nell’essere padre o madre, a causa del bisogno di essere amato o della preoccupazione di non dare abbastanza amore al figlio.
Il ruolo educativo di un genitore può venir meno in nome della stanchezza, dei sensi di colpa, del bisogno di essere amato, della paura di perdere l’amore del figlio e infine, non meno importante, in nome della sua felicità, che corrisponde, illusoriamente, a fargli fare tutto ciò che vuole.
Perché è invece così importante insistere sulle regole, nonostante la stanchezza, i sensi di colpa, la fatica e la paura che i figli si arrabbino? Semplicemente perché sarà la presa di coscienza dei limiti a renderli felici, non l’illusione della loro assenza.
Le regole fanno sentire i bambini al sicuro, perché non hanno ancora l’età per scegliere.
Accade che questi ultimi mettano a dura prova i genitori proprio per testare dove si trova il limite. Spingono fino a che non ne sperimentano l’esistenza, ed è proprio lì, dove incontrano il divieto, che possono sentire che esiste un adulto, un genitore capace di tenerli, sostenerli e guidarli.
Autore: Cristina Radif, psicoterapeuta
Fonte: Psicoadvisor.com